Blog parallelo

lunedì 25 dicembre 2017

I fiori della guerra, recensione del film

Quando torna spontaneamente la voglia di rivedere un film, vuol dire che il suddetto è un gran bel film. È il caso de I fiori della guerra (The flowers of war), ispirato al tristemente (semi-)noto Stupro di Nanchino. Crimine di guerra perpetuato dalle truppe nipponiche durante la guerra sino-giapponese, che ultimamente ha ricevuto le attenzioni di ben tre pellicole. Ma solo questa la candido volentieri per un ripasso, per questioni di pathos, ingrediente di solito assente nei film basati su una storia vera.
Segue una recensione e un paio di annotazioni.
L'avvenimento storico l'avevo studiato quasi per caso, per motivi universitari (tesina di gruppo). Dopo dieci anni buoni la memoria ha perso pezzi per strada, ma ecco un sunto a grandi linee: nel 1937 l'invasione giapponese della Cina è inarrestabile e i reparti cinesi si ritirano precipitosamente, lasciando sguarnita la città di Nanchino. I suoi abitanti saranno così in balia delle feroci truppe di occupazione, che massacreranno indiscriminatamente (centinaia di) migliaia di civili inermi. Torture, pulizia etnica e chi più ne ha più ne metta.
Il film, sebbene sia romanzato, riproduce un fatto plausibile in quelle circostanze: alcuni civili cinesi trovano rifugio in una vecchia cattedrale cristiana, ove, con l'aiuto di un occidentale, cercheranno di sopravvivere.

L'occidentale in questione, interpretato da Christian Bale, è un becchino in principio senza molti scrupoli. Dovrà prendere il posto del prete saltato in aria e ricorrere ad ogni stratagemma per cavarsela; persino la sua spiccata abilità nel truccare i defunti gli tornerà utile...

Le coprotagoniste non potevano che esserer donne, di due estrazioni sociali agli antipodi: immacolate ragazzine del coro e ammiccanti donne di piacere. La convivenza non parte molto bene.
Che il titolo I fiori della guerra si riferisca a loro? Possibile. 

Il mio eroe. Nel frattempo, al di fuori della sicurezza del rifugio, uno sparuto plotone di soldati cinesi (si vede che non tutti si erano ritirati) si sacrifica contro le soverchianti forze nipponiche. Il Maggiore al comando si troverà ben presto da solo:
Vien da chiedersi perché tali truppe cinesi indossano l'elmetto tedesco. Presto detto: il film prende ispirazione dai reparti d'elìte della fanteria, storicamente addestrata da tedeschi ed rifornita con equipaggiamenti tedeschi.
Difatti al governo della Cina v'era ancora il Kuomintang, il partito nazionalista cinese, che stava in buoni rapporti con la Germania nazista (paradossalmente il salvatore di migliaia di cinesi è John Rabe, un nazista, che istituì una Zona di Sicurezza per offrire rifugio ai civili). Il film I fiori della guerra, nonostante sia stato prodotto in un contesto politico ben diverso da quello di sessant'anni prima, rende onore ai suddetti patrioti con scene molto toccanti.



La critica si domanda se era davvero il caso di affidare la parte principale del film al solito occidentale-americano-buono-a-prescindere e non, chessò, ad un umile cittadino cinese. Bisogna prendere atto che durante lo Stupro di Nanchino gli occidentali erano gli unici a godere di una sorta di incolumità e di una limitata libertà d'azione, pertanto i ruoli vengono da sé.
E poi, a ben guardare, de facto la parte dell'eroe la fanno i cinesi: dal Maggiore di cui ho scritto sopra, alle donne rifugiate, al giovane custode della cattedrale.

Nessun commento:

Posta un commento