Blog parallelo

sabato 26 dicembre 2015

LG 24MB65PM-B: monitor flicker free?

24 pollici fanno impressione. Ebbene sì, non ho retto all'impazienza, sono anni che aspetto i monitor e-ink (che non abbagliano gli occhi e sembrano carta), ma tardano a uscire sul mercato e ho quindi rimandato l'acquisto a data da destinarsi.
Al loro posto mi sono procurato il monitor LG 24MB65PM-B. Immenso di primo impatto, abbagliante tanto è luminoso. Contavo sul fatto che fosse flicker free, ma lo sarà davvero?
Come si intravede alla foto, grazie alle sue capacità rotative, sotto si intravede il minuscolo computer che gli ho abbinato e che in seguito ho recensito.


IPS e colori reali. Il confronto con il monitor del vecchio portatile Toshiba (seppur valido) è impietoso. Dimensioni a parte, si nota subito la ricchezza della gamma cromatica conferita dalla tecnologia IPS. Si notano anche le differenti proporzioni: il monitor LG, l'ho scelto apposta, è un 16:10. Rispetto al comune 16:9 è più alto, con una porzione aggiuntiva che si fa sentire eccome, a meno che non usiate il monitor esclusivamente per vedere i film.
Fin troppo luminoso, abbagliante, ho dovuto calare al minimo la luminosità tramite il menù (foto sotto). Considerando che è pure opaco, il monitor LG 24MB65PM-B non va incontro a fastidiosi riflessi ambientali.

Il menù e i pulsanti preposti ripresi da due angolazioni (perché l'una escludeva l'altra, per via della luminosità del monitor).

A proposito di luminosità, dietro al monitor ho piazzato una lampada con lampadina led calda a illuminare la parete, stratagemma importantissimo per non affaticare gli occhi. Assente l'hub USB, utile nel caso abbiate intenzione di collegarvi una striscia led per il medesimo scopo.


Flicker free eppure pulsa. In rete c'è la psicosi dei monitor pulsante che cagionano il mal di testa (in pratica quasi tutti), il cosidetto flickering o PMW (=Pulse Width Modulation), così mi sono fatto le mie ricerche e ho scelto appunto il monitor LG perché dichiarato da diverse fonti flicker free. Mi hanno fregato: il tremolio è percettibile persino a occhio nudo, soprattutto per via del risparmio energetico che ho impostato (NDA: ripristinando la luminosità effettiva, il tremolio scompare, magari abbinandola alla modalità lettura dai colori caldi). Niente di drammatico, in ogni caso, dovete mantenere almeno 70 cm di distanza, regolate la risoluzione delle icone e dei caratteri di conseguenza.

Parola d'ordine versatilità. Perché mai dare tanta priorità al monitor rispetto al minuscolo computer desktop? Semplice, perché ha due ingressi video e voglio sfruttarli entrambi. Prevedo di collegarvi in un futuro un secondo computer, più performante. Attenzione però alle porte disponibili: VGA e DVI.
Nonostante sia plasticoso, il monitor LG 24MB65PM-B fa il suo figurone. Monocromatico ma spazzolato.

Dilemmi d'acquisto. La svolta che mi ha fatto puntare immediatamente sul monitor LG è stata scoprire che il medesimo pannello viene usato da altre marche blasonate:


Il Dell U2415, molto popolare, e l'Eizo FlexScanun EV2436W, una delle marche migliori, senza nulla togliere a LG (che ripeto, è proprietaria del pannello). Notare le differenze di prezzo. Avevo poi cercato lo stesso modello con meno pollici, 22, consapevole di quanto fosse  grande il fratello maggiore da 24, peccato solo sia un monitor TN e non IPS (in un certo senso il TN è migliore per questioni di privacy, visto il ridotto angolo di visione).

La sicura di una granata? No, il fermo del piedistallo!
Note finali. Il monitor LG 24MB65PM-B dispone pure di casse integrate (ma il volume è veramente debole).
Consumi: 28 W, in standby: 0,4 W.
Le specifiche tecniche (in inglese) le trovate nella pagina dedicata del sito ufficiale.

mercoledì 23 dicembre 2015

Le piadine solari del Solstizio

Piadine solari. Quale occasione migliore dell'inizio dell'anno solare (e dell'inverno) per prepararsi delle fragranti piadine solari?

Il pane del passato e del futuro. Ricetta povera, d'altronde dicono che la farina di grano duro sia migliore della controparte di grano tenero. E poi non c'è lievito, quindi la flora (o fauna?) intestinale ringrazia. Niente cottura al forno, quindi pure la bolletta ringrazia! Ho solo scaldato per benino una padella di ghisa (si chiama bistecchiera?) che ha impresso a fuoco i suoi anelli concentrici sull'impasto.
Io ci vedo un sole dipinto alla Van Gogh.
No?


Già che ci sono, aggiungo i passaggi della (semplice) preparazione.
Ingredienti: farina di grano duro, olio di semi/di girasole/d'oliva, un po' d'acqua e un pizzico di sale (per le dosi vado a occhio!).
Lievita senza lievito. Come si può notare dalla foto, l'impasto cresce qualcosina pur senza lievito. Sarà per via che l'ho impastata a lungo (ci ho preso gusto).



Impasto lavorato a mano, per inciso.
L'ho steso per benino con il mattarello, ritagliandola poi con l'ausilio di una scodella rovesciata.
Piadina messa a scaldare ed il gioco è fatto. Attenzione solo a bucherellarla con un forchetta, sennò si riempirà di bolle, e a non spostarla durante la cottura.
Sennò col cavolo che rimane impresso il sole.


Considerazioni finali: la piadina è buona e fragrante (purché venga consumata calda), vorrei spendere due parole sul contesto. Suona strano parlar di piadine solari per il solstizio d'inverno, giacché tale solstizio indica la giornata più corta e tendenzialmente più cupa dell'anno. Sarebbe stato meglio dedicare il piatto al Sol Invictus, cioè il trionfo del sole, che avviene nei giorni immediatamente seguenti.
Dedicherò all'argomento un disegno, portate pazienza!
Se poi anche voi vi chiedete perché l'anno lo fanno iniziare da calendario con l'1 gennaio, vi rimando alle mie vecchie ricerche in merito.

venerdì 4 dicembre 2015

Stress e capricci

Meglio accatastare assi-su-assi-su-assi schiacciando nel contempo qualche migliaio di chiodi, o è meglio fare duecento interviste telefoniche? A far squillare telefoni e cellulari in mezza regione almeno si sta comodi su una poltrona, direte voi, ma intanto a star lì seduto e irrigidito mi è venuto il torcicollo una sera. A martellare chiodi, a camminarci sopra e a sollevare legna, invece, è filato tutto liscio come l'olio.
Potrei dire che sono stati due mestieri complementari. Scaricavo lo stress delle telefonate schiacciando chiodi e mi riposavo seduto sulla poltrona dallo sforzo fisico fatto all'aperto.
Ma a essere sincero sono state due perdite di tempo. Nient'altro.
Leggere ripetutamente le stesse domande così contorte che dopo tre ore mi si incrociava la lingua, sentirmi un robot dalla voce inespressiva e intanto realizzare che il tu-tu-tu delle chiamate a vuoto o la voce della segreteria erano addirittura peggio delle interviste, insomma, nel complesso è stata un'imp una spersonificazione abbastanza squallida. Già il fatto che abbia rimosso gran parte dell'esperienza la dice lunga.
D'altra parte smaltire un enorme ammasso di legna per tirarne fuori qualcosa di buono come fanno quelle orde di asiatici con i relitti delle vecchie navi non è che sia stato molto meglio, sia chiaro. Almeno mi è parso di tornare a giocare con i legnetti (con quello in mano ho schiacciato i chiodi) e alla fine ho visto un risultato concreto.
Ma allora perché ho accettato la prima sfida, pur sapendo che non mi avrebbe portato alcun miglioramento? Potevo andarmene durante l'ora introduttiva, non sarebbe successo niente di male né a me e né all'intera società. La risposta sarà stupida, ma è una sola: perché ho fatto due conti e con la paghetta voglio concedermi un capriccio, una volta tanto.
La vita umana moderna è un'alternarsi di stress e di capricci.
I lavori comportano stress, quella chiusura mentale che non fa riflettere lucidamente le persone. Non intendo solo i lavori d'ufficio, ma anche tutti quelli subordinati dove senti la pressione di chi ordina o controlla. I lavori manuali alla vecchia, in solitaria o in un clima disteso, al contrario, sono un toccasana per l'ispirazione.
Il capriccio è quello spiraglio di luce nella mente della persona stressata. Lo cova dentro di sé nella fase di stress, perché cerca una distrazione, una via di scampo. Può essere un viaggio ai tropici, una scatola di cioccolatini, una borsetta vista alla collega, un caffè, una sigaretta, il voler ricevere un'attenzione particolare da qualcuno. Un sacco di cose che consideriamo necessarie o che sono radicate nelle nostre abitudini sono in realtà capricci, tutti abbastanza o molto futili. Tutti contagiosi.
L'essere umano moderno ormai si stressa per coltivare capricci e infine ottenerli. E' diventato uno stile di vita. Quando i desideri più genuini sono sempre alla nostra portata e non comportano alcuno scotto da pagare.

Post migrato dal mio blog-diario

domenica 29 novembre 2015

Seminare il farro del supermercato

Coltivare il farro. Non so quanto sia redditizio coltivare da sé i cereali, a mano intendo, d'altro canto il farro dicocco si presta molto a un appezzamento che altrimenti resterebbe incolto (poco accessibile e senza fonti d'acqua nelle vicinanze).


I grani da seminare sono molto simili, per non dire uguali, a quelli del frumento (il farro sta a sinistra). L'aroma, però, mi pare più forte nel primo. Mi pare.

Come si può intuire dalla prima foto, per risparmiare (= per-non-venire-preso-in-giro-dai-prezzi-folli-delle-bustine-striminzite) ho seminato il farro integrale comprato al supermercato, accertandomi che fosse veramente triticum dicoccum (l'originale da millenni, insomma) e che non avesse subito trattamenti di sorta. Sia questa confezione che quella in vendita presso i negozi di semenza riporta la dicitura SPELT, ma non dovrebbe significare spelta, cioè il farro modificato e più produttivo (otto cariossidi per spiga anziché due). Al momento del raccolto avrò il responso definitivo.
Ovviamente manca l'accertamento più importante...

Ottobre: germinazione di prova del farro del supermercato
Ripeto: ho comprato farro dicocco integrale, controllando bene che i semi non siano stati tostati, che siano ricoperti interamente dalla crusca e non siano coperti da strani polveri (come quello di un'altra marca).
Dopo una settimana nel frigo a svernare (fase essenziale per la germinazione), li ho lasciati al caldo e nel terriccio umido finché, finalmente, un paio hanno iniziato a germinare. Poi sono ammuffiti, ma è un'altra storia...

Estirpazione rovi e preparazione del terreno. Nel frattempo mi sono dato da fare con forbici da potatura e la fida martellina maleppeggio, rispettivamente per tagliare i rovi e dissodare il terreno (in origine un groviglio di spine...).
Non occorrono grandi cure per coltivare il farro dicocco, anzi! Il terreno non deve essere né concimato né ben lavorato, altrimenti gli steli crescerebbero troppo alti e il vento li farebbe allettare. La resa, inoltre, non sarebbe affatto maggiore.

Semina tardi, a novembre inoltrato. Colpa del caldo anomalo e di miei improvvisi contrattempi. Una volta seminato (circa mezzo chilo, quindi una buona resa sarà - mi pare - di otto chili) ho dissodato nuovamente il terreno con il maleppeggio (una zappa sarebbe risultata più comoda) per interrare un po' i grani.
Ora non resta che aspettare primavera.

PS: in basso si intravede il mandorlo trapiantato e sulla sinistra i zucchini messi ko dalle gelate notturne.
Nel rettangolo rimasto incolto (quello presso lo zainetto) credo proprio che seminerò il frumento delle spighe cresciute spontanee a casa, giusto per fare un confronto.

SEMINARE IL FARRO - PARTE 2

lunedì 16 novembre 2015

Coltivare gli zucchini nei secchi

Il mio cruccio perenne riguarda sempre il vangare l'orto. Perché vangarlo tutto quanto se poi metà lo si calpesta? Da qui è nata l'idea di ricorrere a dei secchi, più grandi di vasi e colmi di stallatico, per coltivare alcuni zucchini.
Potrei definire gli zucchini tardivi perché seminati a fine agosto, posti in questi secchi interrati sul versante più soleggiato del campo, riparati dal gelido nord dalla parete di argilla. Ovviamente le limacce voraci minacciano i giovani trapianti, ma le ho tenute a bada tramite una piccola trappola, riempita di birra.
Il progetto originario non era proprio così...


Il progetto originario prevedeva che i secchi fossero posti su una terrazzina naturale, nascosta alla vista. Cinti da delle tegole rimediate sul posto e con tanta segatura negli anfratti per mantenere l'umidità. Tuttavia le limacce, che proliferavano in questo tipo di habitat, mi hanno divorato tutte le piantine di zucchino eccetto questa qui sopra di zucca violina, unica sopravvissuta.
Chiusa parentesi.

Fine settembre: fioritura e prime zucchine

Nonostante il substrato di stallatico, il caldo e l'irrigazione (quotidiana a causa di un interminabile mese di siccità) gli zucchini non si sviluppano a dovere. Credo sia proprio colpa del secchio e della sua opera di contenimento nei confronti delle radici. Pure ipotesi.
NB: ovviamente ho forato il fondo dei secchi, quindi escludo che possa trattarsi di marciume radicale.
Perché entrino in produzione bisogna aspettare ottobre, ma non fanno più di tanto.




Discorso diverso per gli altri zucchini in terra piena
Mi riferisco a quelli che potrei definire precoci e sopravvissuti alla siccità più altri tre esemplari che hanno sostituito quelli stroncati dal caldo torrido. Qui gli sforzi titanici per irrigarli hanno dato qualche risultato: produzione costante fino a metà novembre, complice anche un'inconsueta temperatura mite. Notare le zucchine a lato: i semi provenivano tutti da un frutto abbastanza scuro, striato appena di verde chiaro: strano che siano venuti tutti differenti!
Sopra, invece, una zucchina lasciata maturare per raccogliere la semenza.

Epilogo a novembre:
All'inizio di novembre le foglie degli zucchini sono andate ingiallendosi e a seccare.
La morale è che gli zucchini in vaso, nonostante tutti i buoni propositi e le belle speranze, non reggono il confronto a quelli piantati in terra piena.

sabato 31 ottobre 2015

Coltivare il mandorlo 2: trapianto in terra piena e rinascita

Giugno: il mandorlo si ammala. Che sia marciume radicale? Credo proprio di sì, spesso i sintomi si vedono anche sulle foglie (ingiallite, coperte di macchie). Ho commesso l'errore di riempire la bottiglia che uso a mo' di vaso con terra abbastanza argillosa e non con terriccio leggero che drena maggiormente l'acqua in eccesso.
Sulle foglie, inoltre, hanno fatto la loro sciagurata comparsa minuscoli parassiti. Ho imparato ormai che proliferano quando c'è qualcosa che non va, credo si tratti proprio di selezione naturale.

Metà luglio: trapianto d'emergenza. Le foglie della piantina di mandorlo cadono una dopo l'altra, quindi prendo la fatidica decisione di anticipare di un anno il trapianto in terra piena. Tanto non ho più molto da perdere, se lo lascio nella bottiglia è spacciato.
Così passo un'estenuante sera a scavare nella terra durissima di un campo (così compatta che mi sembra malta e soprattutto la mia vanga non è l'attrezzo indicato, meglio un piccone o la mia fidata martellina maleppeggio). Infine riesco a ottenere una buca abbastanza decente, che temo di dover ampliare nel prossimo anno.

Silenzio stampa fino a metà agosto, cioè fin quando sul mandorlo ricrescono le prime foglioline.
Perché ovviamente prima gli sono cadute tutte quante, complice il trapianto, la siccità e il caldo torrido. Però, a forza di dai e a forza di portare acqua, ecco la ripresa!
Ho avvolto la pianta con una rete degli agrumi, per proteggerla da eventuali erbivori senza scrupoli di passaggio.




E nell'autunno mite...
...il mandorlo riprende a svilupparsi, tornando finalmente florido com'era all'inizio. In vista del freddo invernale (e del fatto che avrebbe dovuto svernare al riparo il primo anno...) lo avvolgo con del fieno.



PARTE 1 - COLTIVARE IL  MANDORLO - PARTE 3

martedì 20 ottobre 2015

Coltivare le vigne 2: le barbatelle attecchiscono nonostante la siccità

Il primo anno del vigneto. E non solo, difatti comincio con una vigna trapiantata a ridosso di una casetta, con una formica in groppa. Forse l'esperimento più ambizioso (=sciagurato), in quanto la posizione è molto soleggiata e il tetto fa sì che non ci piove mai sopra. Sfortuna vuole che la seconda parte dell'estate sia stata asciutta e quindi micidiale.
Meglio cominciar dall'inizio...





Maggio: germogliano le vigne innestate. Primo posto per il vigneto, soleggiato com'è. Vista la locazione remota e frequentata da erbivori affamati, diventa necessaria qualche protezione (foto in basso). Superfluo aggiungere che per le vigne a casa non ce n'è bisogno.
 

I pezzi di rete per mio padre non bastavano, quindi ha provvisto a fortificare tutta la striscia del vigneto con una selva di ramoscelli procurati sul posto.
Ora le vigne dovrebbero stare ben al sicuro.







Nella foto in basso, si può notare come una coccinella pattugli le foglie a caccia di pidocchi.


Inizio giugno. A fine inverno avevo cimato i vitigni abbandonati e inselvatichiti. Ebbene, ora hanno ripreso a fiorire e a far uva.
A destra si vede una vigna autoctona che avevo preservato vangando a suo tempo la terra il vigneto.


Durante il mese di giugno le viti crescono in altezza, arrampicandosi coi viticci. Quella controluce sembra dire non legarmi, faccio da sola! 
Nonostante la vigorosa potatura, anche le vigne inselvatichite si slanciano sino alle fronde degli alberi; con le foglie si distinguono molto meglio nella fitta vegetazione.



Con agosto s'ingrossano le piche d'uva sulle suddette vigne inselvatichite. Un'ottima notizia, visto che vorrei la loro semenza per l'anno prossimo, per ottenere delle signore piante e non dei cloni.

Peccato che poi non piova più per un mese intero e tutti gli acini cadono/vengono mangiati eccetto uno, che a settembre provvedo a fare mio.
Futura somenza nell'acino ben maturo


In ottobre appaiono i primi segnali di stanchezza sulle foglie, ma credo mi sia andata bene: il vigneto è cresciuto senza trattamenti di sorta, pur essendo le vigne sultanine non resistenti.
Raccolgo anche un po' di ortaggi coltivati alla base delle vigne, visto che queste vogliono la terra ben lavorata e mi pareva un peccato lasciarla incolta.


Aggiornamento: gia che ci sono, provo a essiccare un po' di uva fragola al sole. Sarebbe più rapido farlo in cucina, sopra il fornello acceso, ma tant'è, mi devo accontentare.
La morale è che tutti gli acini si sono staccati, finendo nello scatolone. Un'operazione da perfezionare.



PARTE 1 - COLTIVARE LE VIGNE - PARTE 3