Blog parallelo

domenica 30 giugno 2013

Peperoni gialli 1: la semina e i rinvasi travagliati in questa pazza primavera

Riproviamo a seminare i peperoni
Ora non so quanti di voi mangino i peperoni crudi, ma io li trovo formidabili. Quelli gialli dico, che hanno quel (vago) sapore d'arancia. Li considero quasi frutti e non li trovo affatto pesanti, anzi, direi che rinfrescanti sia l'aggettivo più azzeccato e ne mangerei di più se non fossero così cari.
Così ho riprovato a seminare i peperoni, il tentativo di due anni fa non era finito molto bene. I semi, conservati dall'estate scorsa, li avevo lasciati prima asciugare bene e poi  svernare al fresco in soffitta...

Imparare dagli errori precedenti
Due anni fa avevo seminato i peperoni troppo tardi, a fine maggio. Il motivo? La vacanza-studio a Londra. Le piantine non erano riuscite a svilupparsi in tempo, cominciando a fruttificare solo a ottobre e solo perchè avevo portato i vasi nella serra...
Quindi ho anticipato la semina al mese di aprile: spargendo una manciata di semi nel terriccio dentro il sottovaso, poi li ho coperti con un velo di terra.

Aprile: il seme di peperone giallo germina
Dopo una decina di giorni nel sottovaso (al caldo in soggiorno), i semi di peperone giallo hanno iniziato finalmente a germinare. Acqua quotidiana e la peluria chiara della muffa che si stava diffondendo sulla superficie (il terriccio dentro un sottovaso non è drenato).
Questo germoglio non assomiglia a una ballerina che si esibisce sul palco? Ma forse ho una fervida immaginazione e faccio assomigliare tutto a qualcosa.


Travaso delle piantine di peperone:

Le piantine di peperone si sviluppano con la radice che scivola fuori dall'involucro del seme, innalzandolo poi in aria prima di disfarsene. Non competono in velocità con i semi di anguria.
Le ho estratte delicatamente dal terriccio del sottovaso per piantarle nei vasetti, undici. La luce solare non sarà granchè, ma si devono accontentare e, soprattutto, non patire gli sbalzi di temperatura notturni.


Fine aprile, mossa tragica: le porto fuori
A fine aprile, complici il bel tempo e la pittura dei muri di casa, decido di portare le piantine a godersi il tepore della primavera.
Le trapianto nella terra piena, sperando che così lo sviluppo si acceleri. Ovviamente non reggono il confronto con le piante di peperone del vivaio appena trapiantate nell'orto (foto a lato).



Maggio freddo e decisione azzardata
Maggio si è rivelato un mese tremendo: il terriccio si è bombato d'acqua fredda e le piantine di peperone si sono ridotte in uno stato pietoso. Crescita bloccata e perdita delle foglie.
Ho perso molto del vantaggio accumulato sulla semina di due anni fa in questo modo.



Metà maggio-metà giugno: di nuovo a casa
Fuori le piantine non potevano sopravvivere, così le ho estratte, le ho nuovamente rinvasate e sono tornate nel solito posto sotto la finestra. Rifugiate in buona compagnia: pomodori, pastinache sative, angurie e una talea di nocciolo.
Dentro il sole entra giusto qualche ora, ma almeno diciotto gradi ci sono. Non appena ritorna un po' di caldo le riporto fuori. Sarebbe ora.

Metà giugno: trapianto definitivo nell'orto
Verso la metà del mese la temperatura ritorna clemente: meglio non perdere tempo e trapiantare gli esemplari migliori, tre, nella terra piena dell'orto. Punto ben vangato e ben soleggiato, acqua almeno una volta al giorno.
Ho dato una possibilità anche alle altre piantine, portandole a Cadine.

Ora la questione è capire se ho fatto in tempo...

Coltivare i peperoni gialli:
semina e travaso fioritura frutti maturi

martedì 25 giugno 2013

La penna wacom non funziona? Smontiamola

La penna della tavoletta grafica non funziona? Smontiamola...
La fida tavoletta Wacom (o pen tablet) ha smesso di funzionare (dopo ben sei anni di duro servizio è doveroso ricordare). Spiego meglio: la tavoletta grafica si accende e viene rilevata dal computer senza problemi, è la penna che non interagisce più con la superficie magnetica (la spia luminosa rimane arancione quando dovrebbe diventare verde).
Non è una brutta notizia in ogni caso: ho messo gli occhi da tempo sul nuovo modello (la Bamboo Pen). Il mio, la Volito 2, è ormai abbastanza antiquato. Intanto proviamo a smontare la penna, sono sempre stato curioso di sapere cosa c'è dentro. Wacom va fiera delle sue penne senza batteria e consiglia caldamente di non smontarla, per non rovinarla ufficialmente, ma forse anche per preservare il segreto industriale. Con il senno di poi anche la prima motivazione si dimostrerà valida, si tratta di un lavoretto molto delicato...


Cambiare la punta
Fin qui niente di complicato: le punte delle penne Wacom possono venire sostituite con relativa facilità. Basta rimuoverle delicatamente dalla sede con una pinzetta e rimetterne una nuova al suo posto (sempre che ne avete una di riserva...). Ho scoperto un po' di condensa nella parte interna, che sia questa la causa del guasto?
Ho lasciato asciugare e rimesso in posizione la punta, ma la tavoletta grafica non funziona ancora. Devo smontare la penna per forza allora...


Come aprire la penna Wacom?
Tirando con due spaccanoci! Non mi sono venute in mente altre alternative: la superficie è scivolosa e occorre molta forza. Gli unici danni collaterali sono due solchi leggeri sulla plastica. Niente di tragico.
Ho provato a estrarre il contenuto della penna Wacom facendo presa sulla schedina. Fortunatamente l'interno è un pezzo che resta insieme e si è sfilato fuori tutto intero e senza danni. 


La penna Wacom senza batteria svelata
La batteria non c'è per davvero, eppure la schedina dove trova la corrente elettrica? Deve alimentarsi a distanza sfiorando la superficie della tavoletta (che conseguenze ha questo campo elettromagnetico per la mano sempre a contatto?). La bobina di rame riesce in qualche modo ad elettrizzarsi.
Ipotesi a parte, c'è un minuscolo cuscinetto di gomma nera fuori sede. Tra l'alloggiamento della punta e il sensore di pressione interno. Una volta rimesso in posizione, magia, la penna viene rilevata dalla tavoletta.

accertiamoci che la penna funzioni veramente prima di rimontarla: luce verde


Rimontare la penna: compito delicato
Come tutte le cose, smontare (distruggere) è più facile che rimettere insieme. Ho provato a infilare la schedina (senza punta) all'interno della penna, ma continuava a incastrarsi. Rischiavo seriamente di danneggiarla. La soluzione stava tutta nella punta, da lasciare collegata alla schedina, in modo da irrigidire l'estremità e agevolare l'inserimento.
Per non saper né leggere né scrivere la penna della tavoletta Wacom è tornata a funzionare. Capire se il guasto era l'acqua condensata all'interno o il cuscinetto fuori posto (magari spostato dal sottoscritto) è un mistero che ignorerò felicemente...

sabato 15 giugno 2013

Il quadrifoglio strappato e poi risorto

Tanta gente si sente fortunata stringendo tra le dita un quadrifoglio che in realtà non è un vero quadrifoglio (per esempio le Ossalidi, spacciate per quadrifogli). Il vero quadrifoglio (molto raro: uno ogni diecimila trifogli) è semplicemente un trifoglio bianco con una foglia in più. Io ne ho raccolto uno per sbaglio, perché a me non piace strappare i fiori&compagnia bella, preferisco fotografarli nel loro habitat.
Resomi conto della malefatta, ho riposto il quadrifoglio nella terra e così è campato ancora per un mese.

Parentesi: cucinare i trifogli. Ne ho raccolti un po' per (provare a) mangiarli. Non sono male come sapore, i gambi però sono rimasti duretti, bisogna masticarli a lungo come un ruminante. Dovevo farli bollire di più forse, solo che stavano diventando marroni. Meglio cuocere solo le foglioline, o ancora meglio i fiori se ci sono.


Tra i trifogli scopro il quadrifoglio, mezzo appassito ormai.
Non perdo tempo, infilo subito il suo gambo nella terra bagnata. Il trifoglio è un'erba molto ostinata, magari riesce a radicare nuovamente.

Passano i giorni e il quadrifoglio è ancora vivo: orienta infatti le foglie verso la luce solare. Di notte invece si richiude in se stesso. Mantengo la terra umida.

Tuttavia la mancanza di radici fa inchinare pericolosamente il quadrifoglio. Solo l'apporto di acqua lo fa risorgere ogni volta.

Il gambo va ingiallendosi e travaso il quadrifoglio in un vasetto più fondo. Noto che ancora non ha radicato.

Lentamente anche le foglie perdono il colorito verde e, dopo un mese abbondante, il quadrifoglio non ce la fa più e muore. Per curiosità lo estraggo dal terreno e scopro che era riuscito a radicare, anche se non in tempo. Con un briciolo di speranza rinnovata rimetto le radici nella terra, ma ormai non cresce più nulla.

Tanto, fosse ricresciuta una nuova piantina, sarebbe stata un comune trifoglio. Col senno di poi dovevo spruzzare l'acqua sulle foglioline, avrebbe sicuramente giovato alla pianta menomata.

giovedì 13 giugno 2013

Coltivare le angurie: semina, trapianto nel vaso e poi nella terra piena

Coltivare l'anguria (o cocomero) in Trentino
Proviamo a seminare l'anguria. Chiamata anche cocomero o melone d'acqua (il nome cambia da regione a regione), è una pianta originaria dell'Africa tropicale. Quindi, qui in Trentino, non potremo aspettarci grandi risultati. Esistono tecniche particolari di coltivazione, come l'innesto sulla pianta della zucca e la cimatura dei tralci per accelerare la fioritura. A me però piacciono le cose semplici, quindi seminerò il semi dell'anguria e li trapianterò in un bel posto soleggiato.


Metà aprile - fine aprile: semina e germinazione delle angurie:
L'estate scorsa avevo conservato alcuni semi, asciugati bene al sole, e poi messi a svernare in un luogo fresco, buio e asciutto. La soffitta. Con la primavera ho interrato i semi nel sottovaso, una manciata, e li ho tenuti dentro casa, al caldo. Irrigati tutti i giorni, ma con moderazione. Alcuni semi sono ammuffiti (il sottovaso è privo di fori, quindi l'acqua ristagna), ma cinque di loro hanno superato la selezione naturale e hanno germinato dopo un paio di settimane.
seme d'anguria che germina
Nel mese di maggio la crescita delle piantine d'anguria è stata rapida, elevandosi verticalmente a cercare la luce solare. Le due foglie iniziali ancora intrappolate nell'involucro del seme.
Nel frattempo il sottovaso si faceva stretto, quindi ho provveduto al travaso, bagnando prima la terra ed estraendo con delicatezza. Notate la lunghezza delle radici rispetto alla piantina emersa (foto a sinistra). Liberatesi dalla morsa dei semi, le foglie non hanno avuto più freni, le prime tonde come nella pianta della zucchina, le successive dai margini lobati e coperte di peluria. Una piantina non ce l'ha fatta, un'altra (foto a destra) ha sofferto un po' di stress, ma poi si è ripresa.

Maggio-giugno: trapiantare l'anguria. In che tipo di terreno?
Le piantine d'anguria ora sono pronte per il trapianto nella terra piena. Io l'ho fatto a giugno inoltrato, ma solo perchè prima le temperature erano proibitive.
L'anguria, per svilupparsi a dovere e fruttificare, ha bisogno di quattro cose in sostanza:
- tante ore di sole e quindi caldo
- irrigazione costante ma non eccessiva
- terrendo morbido e drenato, sia esteso che profondo
- concime stallatico.
Le strade delle piantine si sono separate: due sono finite nell'orto, due a Cadine in vasi di roccia.

Prima la coppia di piantine nell'orto. Non ho mantenuto le distanze ottimali consigliate (un metro o addirittura due), ma non c'era più posto... Della serie come utilizzare ogni centimentro quadro dell'orto. Ho ben vangato, sperando che la terra (argillosa) non si ricompatti prima dello sviluppo completo delle radici. A proposito di radici, notate ancora quanto sono lunghe: il terreno va vangato molto in profondità.

Le altre piantine d'anguria, le due più sviluppate, le ho trapiantate a Cadine: c'è più sole e c'è anche un po' di grassa vecchia, cioè concime stallatico. Il terreno però è roccioso, duro da scavare (duro come quello scavato per le buche dei mirtilli). Ho quindi preferito arrangiarmi con un vaso di roccia, sfruttando i grossi macigni lungo il muretto di pietra. Cavità fonde quaranta centimetri, riempite da un misto di stallatico, terra argillosa del posto e aghi d'abete per ammorbidire il composto. Nella foto in alto la messa a dimora.

Bene, ora servono quattro mesi caldi. Speriamo bene...

Coltivare l'anguria:
semina nel vaso trapianto e fioritura fruttificazione

venerdì 7 giugno 2013

Preparare la marmellata con i fiori d'acacia. Dolce come il miele

Prepapare la marmellata di fiori d'acacia
Tutto è cominciato la settimana scorsa. Un'amica mi fa: Sai come si chiamano quegli alberi spinosi con quei grossi grappoli di fiori bianchi? Quanto sono profumati! Io sapevo solo il nome in dialetto, che ho preferito non menzionare perchè con l'accento di lei suonerebbe leggermente volgare (...). Quindi, cerca e ricerca la traduzione, scopro che l'albero dai grappoli di fiori bianchi si chiama acacia. Che a dirla tutta il nome corretto è robinia.

L'acacia, albero americano
L'acacia (o robinia) è un albero americano inserito nel nostro continente alcuni secoli fa. Due i motivi: crescita veloce, che lo rende ideale per stabilizzare i pendii a rischio frana, e il nettare dei fiori, prediletto dalle nostre api per fare il miele.
Svariati i modi di mangiare questi fiori profumati: oltre alle famose frittelle della nonna, possiamo consumarli crudi direttamente dalla pianta o nell'insalata, fritti che diventano come popcorn e sottoforma di marmellata. In questo articolo ci concentriamo proprio sulla marmellata di fiori d'acacia (e di mela). Nell'appendice le frittelle.


Raccogliere i fiori d'acacia dall'abero
Ho raccolto i grappoli di fiori alla stregua delle piche di uva in vendemmia. Li ho assaggiati crudi e sono molto pratici da mangiare: si staccano dal gambo senza sforzo, esattamente come succede con i ribes. Il sapore invece ricorda più i fagiolini freschi raccolti dall'orto. Difatti la robinia è una leguminosa.
Li ho fatti asciugare un po' al sole perchè erano fradici di acqua piovana, poi li ho privati del gambo e raccolti in una ciotola.

Facciamo la marmellata...
Messi in pentola, a scaldare sul fuoco, non mi convincevano molto. Più che marmellata mi viene la minestra... Meglio rileggere la ricetta. Ingredienti: per ogni 200 grammi di fiori d'acacia servono 200 grammi di mele, il succo di metà limone e 180 grammi di zucchero. Bisogna cominciare facendo una veloce marmellata di mela (con il succo di limone) e solo dopo aggiungere i fiori, frullare per bene e lasciar cuocere per tutto il tempo necessario.


Con un pentolino ho messo in pratica la ricetta con relativa velocità. Ho spalmato la marmellata di fiori d'acacia e mela su un taralluccio (più di uno...) e l'ho assaggiata con estremo piacere. Esperimento riuscito, si può procedere con i lavori pesanti!

Ho smezzato i due chili di fiori d'acacia e i due chili di mela per lavorare con due pentole ed eliminare i tempi morti. In sequenza: le mele cotte con il limone e poi cambio pentola e zucchero (inferiore alla dose consigliata). Intanto vedete le mele delle seconda tranche appena messe a cuocere.
Aggiunti i fiori d'acacia ho frullato per bene con il frullatore a immersione. Poi la cottura della marmellata è proseguita a fuoco lento, messa da parte. Per ore: nell'ultima foto (mattino successivo) la prima marmellata, ormai pronta e ben asciutta, è affiancata dalla seconda. I vasetti si scaldano.

Marmellata di mela e fiori d'acacia: dolce come il miele
Procediamo all'invaso della marmellata ancora calda. Chiudere bene e capovolgere per sigillare il coperchio finché non si raffredda...
Anche stavolta mi sono tenuto da parte un po' di marmellata di fiori d'acacia e mela, da mangiare appena fatta. Dolce come il miele. Troppo zucchero? Sono rimasto sotto la dose consigliata, inoltre la marmellata deve essere zuccherata per diventare tale. Il fatto è che la mela è dolce di suo, i fiori d'acacia non sembravano molto dolci ma il nettare dentro ce l'hanno... Basterà spalmare la marmellata sul pane e non sui biscotti!
 
preparare la marmellata con le corniole selvatiche

Aggiornamento: frittelle di fiori d'acacia:
Oggi ho raccolto altri fiori d'acacia freschi e ho provato a preparare le frittelle! Bisogna immergerli (interi, col gambo) nell'impasto di farina, latte, acqua e un pizzico di sale e di lievito in polvere (un uovo opzionale). Lasciare friggere sul burro o sull'olio. Se le volete dolci bisogna aggiungere anche un po' di zucchero all'impasto e magari cospargerle dopo di zucchero a velo.